giovedì 14 dicembre 2023

NOI, LA NOSTRA “MISURA” E GOETHE…

 

Una parte di una nota considerazione di Johan Wolfgang von Goethe sulla Sicilia, tratta dal suo Italianische Reise (Viaggio in Italia), torna ciclicamente, a 236 anni di distanza, ad essere condivisa sui social si tratta de:

«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto».

Un affermazione che da più di due secoli pungola l’orgoglio di generazioni e generazioni di siciliani e siciliane e che però, a grande distanza da quel 1787, può e deve indurci alcune utili riflessioni.

Mi riferisco alla idea, all’intendere la Sicilia come “chiave” di tutto”.

La Sicilia, oggi, in concreto, è la chiave di cosa?

La Sicilia di allora e quella di adesso sono poco proficuamente comparabili, si tratta di due realtà sociali e politiche naturalmente diversissime.

Ciò che, invece, possiamo confrontare sono le percezioni che della Sicilia hanno i siciliani, oggi come nel 1787.

Due visioni tra loro differenti.

La prima e più antica secondo cui i siciliani si percepivano ed erano percepiti a livello internazionale come un popolo, una nazione silente ma riconosciuta e apprezzata.

Quella attuale, invece, in cui anche la stragrande maggioranza degli stessi siciliani fa fatica a possedersi, a riconoscersi storicamente, culturalmente e ancor più politicamente come popolo e poi come nazione. Stessa e forse maggiore difficoltà, a 162 anni dall’annessione all’Italia, se ci si interroga sulla percezione internazionale dei siciliani come popolo peculiare e diverso da quello italiano.

Mantiene quindi un qualche senso e valore l’affermazione goethiana?

Credo di sì a patto che si rinunci a vulgate gattopardesche ovvero richiami all’essere misura del tutto e di tutto e si ragioni, più e meglio, invece, sul farsi misura di se stessi partendo dalla propria Identità e dai proprio bisogni collettivi.

La riflessione sulla Sicilia, infatti, può e deve passare necessariamente dal nesso imprescindibile, anche se ancora da molti negato, tra siciliani e Sicilia e dal fatto che Noi dobbiamo essere, appunto, misura del nostro presente e, quindi, del nostro futuro.

Per farlo dobbiamo ragionare di noi come Collettività storica, come realtà socio-culturale sfuggendo tentazioni etniciste, differenzialiste e/o scioviniste.

Esprimersi da protagonisti, da soggetti sociali autonomi, attraverso una riflessione sui nessi della condivisione culturale e della partecipazione politica per l’Autogoverno sono elementi centrali che possono restituirci Soggettività politica non come espressione delle vecchie, immarcescibili élite ma come maggioranza delle masse popolari, ovvero di tutti coloro che in Sicilia vivono e operano e si riconoscono nel suo patrimonio linguistico e culturale.

La rilettura delle sensazioni provate da Goethe in quel lontano 1787 può concederci una chiave, una delle possibili chiavi, per recuperare senso virtuoso alla nostra Identità senza cadere, però, nella trappola di un  neo nazionalismo periferico ridondantemente romantico ma recuperando, semmai,  attraverso la nostra storia e i nostri bisogni le necessità e i sogni delle classi lavoratrici e popolari, cioè della maggioranza dei siciliani, che sanno e vogliono vivere l’Identità siciliana senza sacrificare la loro classe né al centralismo né allo sciovinismo riparazionista ambedue, per nulla casualmente, interclassiste a parole ma legati, in concreto, agli interessi delle superclassi parassitarie e parassitate che esprimono intermittentemente, a seconda dei momenti storici e politici, sia aspirazioni sicilianistiche sia prassi e atteggiamenti ascari.

È tempo di maggiore chiarezza e maturità, e Goethe può darci, forsanche suo malgrado, una mano.

Fabio Cannizzaro