venerdì 4 settembre 2020

PALERMO, 4 SETTEMBRE 1920: L 'OCCUPAZIONE DEL CANTIERE NAVALE CARTINA DI TORNASOLE DELLA MATURITA' DEI LAVORATORI PALERMITANI E SICILIANI.


 Il 4 settembre 1920, cento anni fa oggi,  gli operai del Cantiere Navale di Palermo occupavano lo stabilimento. 

L'occupazione durerà 25 giorni durante la quale si verificherà anche un misterioso attentato. In tutto questo periodo le maestranze mostreranno  però sempre una grande maturità ed un alto senso della responsabilità. 

Anima e guida durante tutto il periodo dell'occupazione fu il segretario della FIOM, Giovanni Orcel.

L'esperienza dell'occupazione è e rimane nella memoria condivisa del Movimento Operaio palermitano e siciliano, troppo a lungo sottovalutato, una pagina gloriosa quanto esemplare.

Fu quella una stagione di grandi speranze e lotte che portarono, le bandiere rosse a sventolare sullo Stabilimento di Palermo che sviluppo forme apprezzabili e reali di autogestione ed autorganizzazione.

L'occupazione fu la risultante di una articolata mobilitazione in difesa di tanti lavoratori licenziati e parimenti di contrasto alle gabbie salariali ( che oggi qualcuno ripropone,!) e contro il carovita.

L'occupazione ebbe una proiezione che coinvolse anche le altre realtà metalmeccaniche ed operaie della Città.

Del resto Orcel era e restava un socialista intransigente ed un sindacalista di valore che aveva ben compreso quanto centrale, fondamentale fosse il rapporto ed il coordinamento tra le lotte operaie e quelle contadine. 

Non a caso in Sicilia e segnatamente nel palermitano insieme al compagno e leader contadino, Nicola Alongi realizzò un collegamento tra le lotte operaie e quelle contadine e bracciantili. 

Questo sodalizio venne tragicamente interrotto solo il 29 febbraio di quello stesso 1920 quando la mafia del comprensorio corleonese uccise Alongi. 

Provato ma non piegato dell'omicidio dell'amico e compagno Orcel non solo proseguì con il suo impegno ma rivendicò giustizia per Nicola additando il mandante.

Le lotte trovavano eco anche nel quotidiano socialista Avanti! di cui Orcel era corrispondente. 

La mafia, i poteri forti d'allora ben coglievano la pericolosità politica e sociale dell'azione di Orcel tant'è che solo poche settimane dopo il 14 ottobre 1920 venne assassinato.

Ricordare oggi quella stagione che produsse l'occupazione e che il compagno G.C. Marino definì "la prima stagione creativa del proletariato siciliano" non ha per noi di xQS una funzione meramente commemorativa e storiografica ma può e deve restituire dignità e prospettiva ai lavoratori palermitani e siciliani ricordando loro quanto sindacalmente coraggiosi e politicamente maturi erano un secolo fa i lavoratori e compagni impegnati in quella stagione di lotte.

Quella stagione resta esempio e stimolo nelle contingenze di un oggi difficile e sempre più problematico socialmente, politicamente e sindacalmente.


venerdì 24 aprile 2020

VECCHI INDUGI E COMPITI NUOVI PER UN SOCIALISMO ALL’ALTEZZA DEI TEMPI…




La globalizzazione come occasione di prosperità collettiva, leitmotiv dei progressismi del Vecchio e Nuovo Continente per più di un quarto di secolo mostra oggi miseramente tutti i suoi limiti politici, economici e teorici.
Il fallimento stava già, a ben vedere, nelle premesse ovvero nel tentativo di armonizzare ciò che era e resta antitetico ovvero gli interessi del Capitalismo internazionale finanziarizzato e quelli del socialismo e delle masse popolari e dei lavoratori che questo mira a rappresentare.
L’illusione che potesse esistere una “terza via” tra questi due modi di rappresentare gli interessi di due classi così diverse, i cui interessi sono e restano, in concreto, inconciliabili si è infranta, quando le “destre” socialiste democratiche, di cui Tony Blair e Gerhard Schröeder furono per un certo periodo simboli e sintesi, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza politica regalando di fatto l’agenda e l’iniziativa politica ai liberisti e alle destre di tutta Europa.
È stata per il socialismo una stagione buia. Frutto di questo periodo è stato ed è ancor oggi il PES, il cosiddetto partito del socialismo europeo, che ancora insiste a descrivere come “socialista” una linea di continuità e contiguità al neoliberismo che davvero minaccia di ridurre il socialismo a una ancella del liberismo.
Fortunatamente le sinistre socialiste democratiche da tempo, nei diversi Paesi, lavorano a recuperare spazi e prospettive al loro socialismo in contrapposizione a certo spurio socialismo liberista.
Certo la situazione non è eguale ed omogenea ovunque.
In alcuni Paesi come la Germania, la Francia, il Regno Unito ed il Portogallo (perché il ragionamento esula e supera la mera U.E), in modi e forme diverse, la presenza di reali forze politiche socialiste con la loro dialettiche interne e le loro forze organizzative ha permesso l’emergere di figure, nel divenire, di figure di riferimento come Emmanuel Maurel, Jeremy Corbyn o António Luís Santos da Costa.
In Italia la situazione è oggettivamente più complicata e difficile.
La fine del vecchio, vero PSI, nel 1994, ha creato un vuoto politico pneumatico a cui nessuno è riuscito a dare una risposta.
Forse l’organizzazione che più dal punto di vista organizzativo ma non politico si è avvicinata a rappresentare un reale tentativo di definire una presenza socialista è stato, ad oggi, lo SDI anch’esso però naufragato nelle perigliose acque della palude del post socialismo.
Non parliamo poi dell’attuale PSI uno degli ultimi presidi di socialismo liberista in Europa né tantomeno di altri piccoli tentativi, ad oggi, messi in campo tutti inficiati da poca democrazia e molto, troppo personalizzati.
E si perché il vero problema del socialismo in Italia è la pletora di ex colonnelli, maggiori, capitani e più spesso sergenti del vecchio PSI convinti di poter tornare a replicare, solo con qualche piccolo aggiustamento formale, quel modello di relazioni politiche e di organizzazione.
Ciò vale indistintamente per “destra”, “sinistra” e “centro” di ciò che resta di una diaspora socialista che si barcamena da 28 anni e che si assottiglia di anno in anno.
Ciò che molti di questi validi compagni e compagne non vogliono intendere è la constatazione, in sé né originale né difficile, che un ciclo politico una volta conclusosi non può tornare ripetersi se non come farsa.
Servirebbe che il socialismo, i socialisti prendessero coscienza di ciò e lavorassero a costruire una nuova forma di presenza e rappresentanza.
La forma del partito ottonovecentesco come eravamo abituati a conoscere è, oggi, di fatto improponibile e soprattutto non funzionale ai bisogni politici e sociali dei socialisti militanti e di chi questi dovrebbero rappresentare cioè le masse popolari e lavoratrici.
Il modello derivato dal vecchio PSI le sue logiche se non definibili antidemocratiche sono però certamente a-democratiche e centralizzate e non rappresentano più utilmente l’aggregazione politica democratica in una società moderna.
Serve, dunque, andare oltre.
 Taluni non comprendono questa necessità e si ostinano a ripetere pedissequamente le vecchie “formule” organizzative, dando vita serialmente, per scissione, a sempre nuove/vecchie micro organizzazioni socialiste, i cui difetti evidenti talvolta per giunta orgogliosamente perseguiti finiscono inevitabilmente per ridurre  questi movimenti-partiti, apertis verbis, in poco più che sette autoreferenziali con una spiccata propensione alla personalizzazione acritica delle loro  “leadership” composte immancabilmente da piccoli gruppi di cooptati.
Servirebbe invece, attualmente, un lavoro culturale e quindi politico di prospettiva.
Si dovrebbe, più e meglio, lavorare a creare interesse e presenza intorno al socialismo specie tra coloro che, finora, non si sono mai avvicinati ad esso. Serve coinvolgere persone nuove, nuove generazioni e formarle al pensiero critico, all’analisi sociale e alla lotta politica e sindacale.
Toccherà poi a tutti insieme creare forme organizzative, democratiche, federali e territoriali all’altezza dei tempi.
È la prospettiva a cui lavoriamo noi di xQS che rifuggiamo le facili “scorciatoie” sia neo sovraniste e centraliste sia le solite visioni neo unificatrici intese come mere sommatorie imposte di sigle e gruppi.
Serve, casomai, invece un duro lavoro di formazione ed organizzazione che sappiano fare tesoro degli errori passati guardando però al presente e al futuro dei bisogni negati ed inespressi della parte debole della società.
Questo è socialismo, solo questo restituirà al socialismo la sua funzione politica e sociale di rappresentanza delle forze popolari e del lavoro nel Paese.

Avanti, sempre!

Fabio Cannizzaro

lunedì 20 aprile 2020

RICORDANDO IL MASSACRO DI LUDLOW, LA STORIA DEL SINDACALISMO E DEL SOCIALISMO STATUNITENSE E TANTO ALTRO…



Alcune compagne e alcuni compagni, talvolta, assorbiti esclusivamente dalla nostra realtà quando pensando al socialismo statunitense compiono l’errore di pensare che questo movimento non abbia storia o radici. La realtà è ben diversa.
Abbiamo modo, oggi, di ricordare un evento accaduto 106 anni fa che appunto smonta questa falsa percezione.
Il 20 aprile 1914, in Colorado, a Ludlow  ebbe luogo un feroce massacro frutto della brutale repressione di uno sciopero di minatori da parte delle “milizie” dei proprietari delle miniere.
Furono 21 i morti  e tra questi 12 fra donne e bambini.
La mobilitazione a Ludlow e la bestiale repressione che seguì rientravano in una stagione di attivismo sindacale dalle profonde implicazioni politiche che impegnò 12.000 lavoratori statunitensi in lotta e che durò ininterrottamente dall'autunno del 1913 fino alla fine del 1914.
Fu una stagione di mobilitazioni operaie negli U.S.A. mentre attiva e vitale era nel Paese l’azione dei socialisti.
 Si pensi, per esempio, all’attivismo di Eugene V. Debs, che era uno fondatori degli Industrial Workers of the World (IWW) e più volte candidato alle Presidenziali per il Partito Socialista d'America.
Il massacro di Ludlow fu e resta uno spartiacque nella storia del movimento operaio e socialista statunitense e dimostrò nella sua drammaticità come il grande Capitale fosse intenzionato a difendere le sue prerogative economiche e di potere ad ogni costo, compreso il sangue degli operai e delle loro famiglie.
Ricordare quanto accadde più d’un secolo fa a Ludlow è utile, doveroso e noi socialisti siciliani di xQS non ci sottraiamo al ricordo anche se questi eventi appaiono lontani nello spazio e nel tempo.
Ricordare quei fermenti sociali e politici serve anche a molti per smettere di avere atteggiamenti eurocentrici che portano a giudizi sommari sul socialismo americano.
Un socialismo dalla storia densa di avvenimenti e lotte che oggi, tutt’altro che casualmente è rinato, forte dell’apporto giovanile, grazie ad alcuni leader come, in primis, Bernie Sanders o anche Alexandria Ocasio-Cortez.
Per certi versi anzi il socialismo statunitense si trova, oggi, in condizioni oggettivamente migliori rispetto al nostro, troppo orientato verso un recente passato che è oramai, piaccia o no, definitivamente alle spalle.
I socialisti statunitensi, con le loro analisi e con la loro militanza mostrano, invece, di guardare al futuro e di pensare a forme di presenza e militanza nuove mentre, ahinoi, molti socialisti qui da noi si attardano a cercare di riprodurre formule politico-organizzative tanto vetuste quanto oggettivamente inutili ed antidemocratiche.
Ed intanto il paese è e resta vittima del neoliberismo classista.

Fabio Cannizzaro

sabato 4 gennaio 2020

IL 2020, IL MONDO DELLA SCUOLA E LE SUE PROSPETTIVE…



Il 2020 vede il mondo dell'Istruzione, i suoi lavoratori, docenti e no, interessati da tutta una serie di novità ed annunci su cui sarà bene fermarsi a riflettere.
Partiamo dalla notizia, oramai certa, dello "spacchettamento" di quello che, fino a qualche giorno fa, era il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) con la creazione di due distinti dicasteri, uno per l'Istruzione e l'altro per Ricerca e Università.
Già nell'immediatezza dell'annuncio i mondi scolastico ed accademico, come era naturale, si sono divisi trasversalmente in favorevoli e contrari allo "scorporo".
In realtà la mossa del Presidente del Consiglio, Conte è e resta ovviamente politica e tuttavia, anche al di là delle intenzioni reali o dichiarate, intercetta, comunque, una reale necessità.
Conte, a mio avviso, ha infatti ragione quando, nello specifico della questione, afferma che i comparti dell'Istruzione e della Ricerca e Università hanno logiche, esigenze e problematiche tra loro molto diverse.
Si tratta di una constatazione troppo a lungo sottaciuta dai vari, diversi governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi due lustri.
Affermo ciò senza che questo significhi di per sé, in nessun modo è a nessun titolo, una condivisione della linea politica di Conte e del suo Esecutivo.
Il MIUR, i ragionamenti politici che portarono alla sua nascita erano, allora, il portato di una logica che, ahinoi, imperava trasversale, incontrastata nella politica bipolare degli inizi del Duemila.
Si credeva allora (e qualcuno lo pensa ancora) che fosse possibile, con un mero atto di volontà promosso dall'alto, ricondurre a perfetta unità due settori contigui ma né simili né equiparabili per interessi, bisogni, esperienze e necessità come Scuola ed Università e Ricerca.
Dieci anni di prassi politiche e gestionali, di esperienze hanno confermato i dubbi ed i timori di chi, allora, ammoniva temendo che la "liaison" avrebbe fatto propendere l'attenzione politico-burocratica verso gli interessi apicali del mondo accademico, privilegiandolo anche in virtù del suo stretto rapporto con la rappresentanza parlamentare a danno di Ricerca e Istruzione.
Ora giunge inattesa l'iniziativa del Presidente del Consiglio.
Potremmo lecitamente domandarci: Perché ora? Penso però sia, in questa fase, più importante concentrarsi su questa inaspettata opportunità per l'Istruzione, anzi per la Pubblica Istruzione facendo in modo che l'occasione non vada né persa né depotenziata o vanificata.
L'intervento politico, la spesa pubblica correlata legate allo "spacchettamento" del MIUR può restituire all'Istruzione pubblica una visibilità, una centralità persa, di fatto, in un decennio di "condominio coatto" con Università e Ricerca.
Importante sarà nelle prossime settimane, nei mesi a venire la reazione che verrà dal mondo sindacale scolastico e universitario. Ad oggi le reazioni di questi sono state tiepide per non dire timorose.
Come mai? Si è trattato solo di soverchia cautela?
È inutile nascondersi dietro un dito, la mossa repentina di Conte sta producendo già i suoi primi effetti anche sulle strutture, sulle articolazioni sindacali che, con il tempo, si erano adeguate, conformare al modello organizzativo del MIUR, stabilendo al proprio interno, nelle proprie burocrazie delicati, necessari equilibri.
La mossa dello scorporo, è inutile negarlo, spariglia, in alcuni casi, le carte.
Del resto qualsivoglia burocrazia, sia essa ministeriale o sindacale, vive i cambiamenti, specie se inattesi, con un misto di apprensione e malcelato fastidio.
Non dubito, però, che superata la sorpresa iniziale le migliori forze del sindacato scolastico sapranno cogliere le potenzialità favorevoli ai lavoratori, alle lavoratrici, ai cittadini nella restituita autonomia alla Pubblica Istruzione.
Da lavoratore, da sindacalizzato, da socialista, per mio conto, avverto questa come l'opportunità di riportare il dibattito sulle politiche scolastiche pubbliche, sul loro collegamento con l'azione sindacale e la "ratio" Costituzionale al centro dell'Agenda politica e sociale del Paese, liberandole dalla tutela callosa del mondo apicale dell'Università con le sue peculiari dinamiche.
Certo, scorporo o no, resta centrale, sostanziale la questione dell'individuazione delle risorse come bene sottolineava, qualche giorno fa, il segretario generale della FLC CGIL, Francesco Sinopoli.
È questo un passaggio imprescindibile e sul merito, concordo, occorre essere chiari, ragionando analiticamente anche a costo, se fosse necessario, di essere urticanti.
Chiediamoci: Le risorse per l'Istruzione pubblica come saranno, d'ora innanzi, assegnate e quantificate?
Mi chiedo, Vi chiedo: Non è che, in barba all'annunciato scorporo, si provvederà, invece, poi, all'assegnazione delle risorse per l’Istruzione, sic ed simpliciter, mantenendo la medesima, vecchia logica che ispirava le previsioni di quando c'era il MIUR?
Se la risposta è sì, allora, avremo la comprova che il cosiddetto "spacchettamento" era, di fatto, solo una boutade a esclusivo uso politico dell'attuale maggioranza di governo.
Se, invece, si provvederà in modo nuovo, originale e diverso allora il mondo della scuola potrà recuperare la sua portata, il suo senso costituzionale e liberarsi dall'abbraccio interessato di certo mondo accademico.
La scommessa è in campo anche se, poi, con il passare dei giorni, si aggiungono al quadro nuovi, altri diversi dati ed elementi.
Penso all'iniziativa mediatico-politica del segretario del PD sull'Istruzione.
Non esagero se dico che Nicola Zingaretti ha lanciato, vedremo poi gli esiti, una sua "campagna d'Inverno" fatta di quattro diversi, impegnativi item-promesse.
Il PD, parte dell'attuale maggioranza di governo, insiste su temi quali:

1) Formazione e stipendi più alti per gli insegnanti;
2) Edifici sicuri, belli e sostenibili;
3) Obbligo scolastico i 3 e i 18 anni;
4) Scuole aperte fino alle 18.

Sono punti di difficile attuazione ed alcuni in sé poco convincenti a ciò si aggiunga, inoltre, che il partito di Zingaretti non è nuovo a mirabolanti promesse sulla e alla scuola, dopo essere stato, in epoca renziana, promotore, lì sì concreto, della L. 107, vera e propria controriforma aziendalista, beffardamente definita “Buona Scuola", e mai, anche ora che Renzo è uscito dal partito, ripudiata.
Bene ha fatto, quindi, la FLC CGIL, il suo segretario generale Sinopoli, ad esprimere le sue titubanze e riserve rispetto al "model" zingarettiano.
Una agenda quella PD che non allontana la scia dal modello renziano e che giustamente la FLC definisce della " scuola azienda subalterna agli interessi di breve periodo del sistema produttivo".
Serve, invece, un ritorno ai valori, alle elaborazioni, all'esperienza che erano patrimonio della migliore tradizione socialista sulla scuola, ispirata da uomini come Tristano Codignola, donne e uomini che favorirono anche conquiste come la Scuola media unica degli anni Sessanta del secolo scorso.
Il progressismo prono al mercato ha fallito anche nel campo dell'Istruzione e vorrebbe ancora condannare il Paese a una scuola che è altro da quella pensata dai Padri Costituenti.
Noi socialisti non ci rassegniamo e continuiamo a, lottare, democraticamente, a viso aperto, per una scuola dei cittadini, laica, democratica perequativa e formativa.


Prof. Fabio Cannizzaro

Coordinamento Insegnanti Socialisti