Una parte di una nota considerazione
di Johan Wolfgang von Goethe sulla Sicilia, tratta dal suo Italianische Reise (Viaggio
in Italia), torna ciclicamente, a 236 anni di distanza, ad essere condivisa
sui social si tratta de:
«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È
in Sicilia che si trova la chiave di tutto».
Un affermazione che da più
di due secoli pungola l’orgoglio di generazioni e generazioni di siciliani e
siciliane e che però, a grande distanza da quel 1787, può e deve indurci alcune
utili riflessioni.
Mi riferisco alla idea, all’intendere
la Sicilia come “chiave” di tutto”.
La Sicilia, oggi, in
concreto, è la chiave di cosa?
La Sicilia di allora e
quella di adesso sono poco proficuamente comparabili, si tratta di due realtà
sociali e politiche naturalmente diversissime.
Ciò che, invece, possiamo
confrontare sono le percezioni che della Sicilia hanno i siciliani, oggi come
nel 1787.
Due visioni tra loro differenti.
La prima e più antica
secondo cui i siciliani si percepivano ed erano percepiti a livello
internazionale come un popolo, una nazione silente ma riconosciuta e
apprezzata.
Quella attuale, invece, in
cui anche la stragrande maggioranza degli stessi siciliani fa fatica a possedersi,
a riconoscersi storicamente, culturalmente e ancor più politicamente come
popolo e poi come nazione. Stessa e forse maggiore difficoltà, a 162 anni dall’annessione
all’Italia, se ci si interroga sulla percezione internazionale dei siciliani
come popolo peculiare e diverso da quello italiano.
Mantiene quindi un qualche
senso e valore l’affermazione goethiana?
Credo di sì a patto che si
rinunci a vulgate gattopardesche ovvero richiami all’essere misura del tutto e di tutto e si ragioni, più e meglio,
invece, sul farsi misura di se stessi
partendo dalla propria Identità e dai proprio bisogni collettivi.
La riflessione sulla Sicilia,
infatti, può e deve passare necessariamente dal nesso imprescindibile, anche se
ancora da molti negato, tra siciliani e Sicilia e dal fatto che Noi dobbiamo
essere, appunto, misura del nostro
presente e, quindi, del nostro futuro.
Per farlo dobbiamo ragionare
di noi come Collettività storica, come realtà socio-culturale sfuggendo
tentazioni etniciste, differenzialiste e/o scioviniste.
Esprimersi da protagonisti,
da soggetti sociali autonomi, attraverso una riflessione sui nessi della
condivisione culturale e della partecipazione politica per l’Autogoverno
sono elementi centrali che possono restituirci Soggettività politica non come
espressione delle vecchie, immarcescibili élite ma come maggioranza delle masse
popolari, ovvero di tutti coloro che in Sicilia vivono e operano e si
riconoscono nel suo patrimonio linguistico e culturale.
La rilettura delle sensazioni provate da Goethe in quel
lontano 1787 può concederci una chiave,
una delle possibili chiavi, per
recuperare senso virtuoso alla nostra Identità senza cadere, però, nella
trappola di un neo nazionalismo
periferico ridondantemente romantico ma recuperando, semmai, attraverso la nostra storia e i nostri bisogni
le necessità e i sogni delle classi lavoratrici e popolari, cioè della
maggioranza dei siciliani, che sanno e vogliono vivere l’Identità siciliana
senza sacrificare la loro classe né al centralismo né allo sciovinismo
riparazionista ambedue, per nulla casualmente, interclassiste a parole ma legati,
in concreto, agli interessi delle superclassi parassitarie e parassitate che
esprimono intermittentemente, a seconda dei momenti storici e politici, sia
aspirazioni sicilianistiche sia prassi e atteggiamenti ascari.
È tempo di maggiore
chiarezza e maturità, e Goethe può darci, forsanche suo malgrado, una mano.
Fabio
Cannizzaro