giovedì 19 luglio 2018

L’ALTERNATIVA IN CGIL E’ UNA REALTA’?



INIZIA L’ATTIVITA’ ASSEMBLEARE CHE PORTERA’ AL XVIII CONGRESSO CGIL. COSA ACCADE DENTRO IL SINDACATO DI CORSO D’ITALIA?
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Le diverse, convergenti espressioni del documento congressuale n. 1 in seno alla CGIL sembrano quasi infastidite dalla presenza di un documento alternativo che promette concretamente di non rendere poi così “unitario” il prossimo XVIII congresso confederale.
A ciò si aggiunga che il documento alternativo, quello promosso dalla minoranza de “Il sindacato è un’altra cosa” e coordinato dalla combattiva Eliana Como, della FIOM di Brescia, via via sta raccogliendo nuovi consensi ed attenzioni tra gli iscritti alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
È il caso dei socialisti di sinistra iscritti alla CGIL che si riconoscono nelle posizioni di Risorgimento socialista e che coordinati da Fabio Cannizzaro trovano la loro aggregazione e coordinamento in pagine e gruppi di un notissimo social network quali “Socialisti e Sindacato” e “Socialisti di Sinistra per la CGIL”.
La piena adesione al documento congressuale n.2 dei socialisti di sinistra sottrae alla “gloriosa macchina da guerra” congressuale CGIL, del “nuovo” asse Camusso – Landini, l’alibi di poter liquidare, semplicemente, i sostenitori del documento alternativo come “velleitari ed estremisti”.
In realtà la posta in gioco è enorme e cosa che ancor più preoccupa l’establishment interno al sindacato di Corso d’Italia è l’andar catalizzare, sempre più, il documento n. 2, energie nuove e di base, che sembrano sfuggire alle logiche tradizionali di una CGIL che, almeno nella sua componente che si richiama al secondo documento, pensa si debba subito cambiare pelle e strategia.
In Sicilia le energie mobilitate, al pari del resto della Penisola, vanno crescendo.
Diverse espressioni di base, frutto delle diverse categorie convergono, anche se in terra di Trinacria in questo momento sembrano spiccare gli apporti provenienti da FIOM e FLC.
La partita è aperta e comunque si concluda il prossimo congresso c’è da scommetterci che il fronte che il documento n. 2 riuscirà a compattare farà parte dei futuri equilibri in CGIL, superando e travolgendo vecchie divisioni e categorie, dando il via comunque ad una nuova stagione di azioni e relazioni sindacali.

Salvatore De Grandi

sabato 14 luglio 2018

CONTRO LE AGROMAFIE, CON LA CGIL DI LOTTA, PER UNA NUOVA STAGIONE DI LEGALITA’ E PER UNO SVILUPPO EQUO DELLE NOSTRE REALTA’ TERRITORIALI




La recente presentazione del 4° Rapporto Agromafie e Caporalato dell’osservatorio “Placido Rizzotto” della FLAI CGIL ci offre modo e occasione di riflettere sulla nostra attualità, sulla realtà che ci circonda.
Chiunque viva ed operi in Sicilia e mantenga uno sguardo aperto e attento non può non convenire sul fatto che le entrate derivanti dalle cosiddette “agromafie”, oggi, rappresentano per i sodalizi criminali di questo Paese una parte sempre più cospicua delle proprie entrate.
Prendere coscienza di ciò è già un passo avanti e tuttavia non può e non deve bastare. Troviamo, ad esempio, positivo che i sindacati agroalimentari confederali, FLAI CGIL in testa, stiano organizzando mobilitazioni in tutta la Penisola ed una due giorni dal 24 al 26 luglio con un presidio davanti alla Camera dei Deputati in occasione della discussione parlamentare sul cosiddetto “Decreto Dignità”.
Tutto ciò contribuisce ad alzare il velo su uno dei settori più redditizi per le mafie italiane ed internazionali, quello, appunto, legato sia allo sfruttamento della manodopera sia al controllo sulla filiera del cibo fino poi a giungere alla ristorazione, alla gestione dei contributi europei per allevamento e  l'agricoltura.
È questo il grande “business” che le mafie, in Sicilia, nello specifico, Cosa Nostra, si trovano a gestire. 
Si tratta di una movimentazione di denaro e risorse enorme quantificato, solo in difetto, in “appena” 4, 8 miliardi di euro .
Comprendere la centralità di questa “nuova sponda” per le organizzazioni malavitose significa dover e poter ricalibrare le forme di contrasto che lo Stato, la società civile devono assumere come risposta rispetto a questi fenomeni.
Fortunatamente, come spesso accade, la società, le realtà territoriali, comprendono questi fenomeni prima e meglio del cosiddetto centro.
Non a caso, ad esempio, siffatte riflessioni, da tempo, sono sviluppate nei nostri diversi Sud. 
Penso all’apporto di certo coraggioso giornalismo investigativo, dall’alta significanza etica, che, ad esempio, sui Nebrodi, descrive, chiaramente ed analiticamente, i fenomeni con dovizia di informazioni e mantenendo uno sguardo d’insieme encomiabile.
Il sindacato, poste queste necessarie premesse, ha il dovere di essere in prima linea nel contrasto del fenomeno delle agromafie.
Il fiume di denaro che il  controllo di grandi quote delle contribuzioni europee frutta alla malavita, e ai colletti bianchi, che la affiancano e sostengono, è enorme e diviene, anno dopo anno, sempre più essenziale e centrale, nel bilancio delle mafie.  
Tema questo che chiama in causa, indirettamente e senza però generalizzazioni, un certo ruolo parassitario e parassitante di determinate nostre burocrazie e di una certa borghesia, ambedue, attualmente, fortemente intrise di certo neoliberismo predatorio.
Questo “mercato” agroalimentare è, poi oggi, fondamentale per la stessa sopravvivenza delle organizzazioni mafiose.
Recenti provvedimenti come quelli adottati dall’oramai ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, che, nel 2014, ha introdotto nel territorio nebroideo un protocollo di legalità  per l'assegnazione degli affitti dei terreni, che prevede la presentazione del certificato antimafia anche per quelli sotto la soglia dei 150 000 euro, sono utilissimi provvedimenti di contrasto operoso a logiche criminali volte ad accaparrarsi risorse pubbliche comunitarie, drogando, di fatto, mercati e logiche produttive, attraverso violenze paventate e/o realizzate.
Tuttavia ciò non basta e di fronte alla continua “rimodulazione” delle strategie mafiose, realizzate da professionisti vicini alle cosche, serve che lo Stato, la società e non ultimo il sindacato possano e sappiano elaborare strategie di contrasto tanto utili quanto concrete.
Cosa può e deve fare il sindacato? Cosa può fare nello specifico la CGIL come confederazione?
Possiamo dire che diversamente da altri soggetti sociali, la CGIL è avanti e tuttavia ancora tante è la strada da percorrere.
Nello specifico si devono mettere in condizione tutti i soggetti produttivi, sociali,  istituzionali e pubblici di essere difesi, supportati e tutelati a partire dalle singole realtà territoriali. Garantendo uno sviluppo il più equo e condiviso possibile.
Sarebbe impensabile e colpevole pensare di scaricare, così e semplicemente, su sindaci, amministratori, sindacalisti il peso, diretto ed immediato, del contrasto del fenomeno agromafioso confidando solo sul loro coraggio personale e civile.
Già in passato siffatte “scelte”, che di fatto abbandonavano a se stessi i soggetti territoriali,  provocarono, in concreto, un illecito vantaggio per le organizzazioni mafiose, occorre non ripetere errori antichi.
Penso, ad esempio, a meccanismi di controllo diretto ed incrocio automatico, stabiliti per legge, tra uffici ed autorità onde rendere operativi, contemporaneamente e a tutti i livelli, i protocolli di legalità.
La sfida del contrasto alle agromafie deve vedere insieme coordinate sindacalmente categorie diverse penso all’Agroalimentare non meno che la Conoscenza insieme parimenti a Commercio, Servizi, Trasporti, Sicurezza.
Solo un punto di vista coordinato, confederale può,  quindi,  permettere alla CGIL, al sindacato di contribuire al contrasto di questi fenomeni garantendo altresì a pieno i diritti dei lavoratori e delle masse popolari.
Si tratta, in buona sostanza, di tornare a recuperare quella centralità sociale che a lungo ha connotato e caratterizzato la nostra confederazione.
Da sostenitori del documento congressuale n. 2, da socialisti di sinistra, non dimentichiamo il precedente storico dell’unità nella lotta tra e nelle categorie sviluppato dal socialismo negli anni ’50 del secolo scorso.
Si trattò allora di raccordare e coordinare in un’ottica di classe lotte contadine e mobilitazioni operaie.
Abbiamo, ovviamente, ben chiaro che i tempi sono, oggi, totalmente diversi e tuttavia quello esempio di coesione resta un riferimento ed uno stimolo per una CGIL che sappia sfidarsi recuperando un suo autonomo ruolo politico, cosa ben diversa da certi recenti collateralismi.
Tocca a noi iscritti e militanti della CGIL ricreare, a partire dal contrasto alle agromafie, un “fronte sociale dei diritti” che rifiutando facili consociazioni e un certo remissivismo rimetta al centro dell’agenda etica, sociale e politica i lavoratori e il loro sindacato, forti di un senso di classe e di una visione attiva della legalità.
In questa prospettiva il Sud, i nostri diversi Sud possono e debbono svolgere un ruolo non solo centrale ma insostituibile come già è stato per il contrasto alla mafia stragista.


Fabio Cannizzaro