sabato 12 luglio 2014

LA QUESTIONE SICILIANA E LA VIA SICILIANA AL SOCIALISMO



Compagne, Compagni,
è un dovere per chiunque sia socialista interrogarsi sulle dinamiche del neocapitalismo, della globalizzazione finanziaria come è altrettanto importante chiedersi, senza remore, il perché dell'odierno, oggettivo arretramento, in Sicilia, delle lotte sociali. Da cosa è dipeso?
E' un dato meramente congiunturale? Noi pensiamo che sia vero solo in parte.
E' nostra maturata convinzione che parte di questo “arretramento” sia dipeso anche da errori nelle scelte prodotte da ampi settori delle classi dirigenti delle sinistre isolane riguardo al merito e alla sostanza dei problemi in campo in Sicilia.
Ciò è potuto accadere, anche, perché questi compagni, queste compagne, non hanno voluto o saputo tenere nel giusto conto non solo i bisogni ma anche le esigenze dei siciliani onesti, dei compagni e delle compagne che ambivano ed ambiscono a determinare condizioni di vita migliori senza rinunciare necessariamente alla propria identità materiale e culturale. Dato che per altro si rapporta alla diffusa convinzione che la propria identità di siciliani sia uno degli elementi possibili per affrontare, in equità e senza egoismi, quel grumo irrisolto di problemi che noi chiamiamo, da più di 150 anni, la Questione Siciliana, che è diversa e peculiare, rispetto alla Questione Meridionale continentale.
Nelle classi dirigenti della sinistra isolana questi temi, queste analisi non hanno mai trovato non dico attenzione o rispetto ma neppure un doveroso ascolto.
Ogni scelta, ogni analisi, pur con alcune lodevoli eccezioni, sono sempre state prese, in Sicilia, guardando al cosiddetto quadro centrale.
Anche le continue, reiterate sconfitte subite a sinistra sono state lette con le “lenti colorate” di una autoreferenzialità che ha prodotto solo altre sconfitte.
Noi Socialisti siciliani e federalisti, che ci rifacciamo, in linea di continuità politica, alla tradizione del migliore socialismo isolano, quello che a partire dai Fasci Siciliani dei Lavoratori ha sempre posto la Questione Siciliana come elemento imprescindibile per l'affermazione chiara e non effimera del socialismo e della giustizia sociale in Sicilia, pensiamo sia giunto oggi il tempo di mutare rotta.
Da socialisti e da uomini di sinistra ci impegniamo per cambiare le cose a sinistra, da sinistra. Pena, in concreto, la stessa scomparsa della sinistra in Sicilia come in Italia.
Non chiediamo a chicchessia conversioni, immediate quanto repentine, ma poniamo, a tutti e per tutti, la questione, squisitamente politica, di una analisi, a tuttotondo, sugli errori compiuti , sin qui, dalle classi dirigenti di sinistra, socialiste incluse.
Lo facciamo senza sicumera ma nella diffusa, pervicace convinzione che per cambiare le cose, occorra cambiare anche le scelte e le azioni politiche prodotte e proposte.
Nella realtà siciliana questo significa porre come centrale, per risolverla, l'esistenza di una peculiare Questione Siciliana che è parimenti questione sociale ed identitaria. In questa analisi il nostro socialismo, la nostra elaborazione, le nostre analisi si ricollegano e si incontrano con quelle di compagni di altre realtà interne alla forma stato Italia,storicamente noti ed apprezzati, come, ad esempio, Mario Alberto Rollier, Silvio Trentin e molti altri ancora.
Il nostro impegno è dunque parimenti volto alla soluzione della Questione Siciliana ma altrettanto, in virtù di questa,ha una proiezione internazionale ed internazionalista.
In questo impegno troviamo conforto ed ascolto crescente in settori sempre più ampi del socialismo italiano, in cui militiamo e con il quale sviluppiamo analisi, operando per la sua, la nostra riorganizzazione.
Certo il quadro che ci si para dinanzi è tutt'altro che roseo o idilliaco.
La sinistra isolana e non solo questa si deve confrontare con il partito democratico, un vero moloch, di potere e al potere, che spinge perché socialisti e sinistra tutta perdano le loro identità diluendosi, presto e soprattutto male, nel partito “pigliatutto” e/o , in subordine, in un sistema di alleanze senza sbocchi sociali e politici.
Occorre che qualcuno abbia il coraggio di dire che gli interessi rappresentati dal PD sono, oggettivamente, altri e diversi dagli interessi rappresentati dal socialismo e dalla sinistra in Sicilia come altrove.
Ci sono, per di più, altre difficoltà. Nel movimento socialista siciliano esistono ancora, infatti, sulla Questione Siciliana, posizioni diverse e diversificate.
Talune pregiudizialmente antisiciliane e centraliste, altre similmente dannose, che invocano, senza definirla o comprenderla, una visione verbosamente “autonomista”. Coloro che rappresentano questa posizione “tattica” non incarnano tanto una reale posizione politica quanto occasioni calcolate per determinare “trampolini” di lancio personalistici quando non anche occasioni di rilancio di vecchi parametri consociativi.
A tutti costoro diciamo, citando Guglielmo Epifani (2007) che nelle loro posizioni: “non c'è un progetto per il futuro” della Sicilia, dei Siciliani.
Se vogliamo dare futuro ai siciliani occorre affrontare e risolvere, in chiave socialista, la Questione Siciliana rinunciando a vantaggi tattici o personali, guardando al BENE COMUNE dei Siciliani in un ottica internazionalista, senza nazionalismi egoisti ma esaltando semmai le ragioni di un Popolo come quello Siciliano, aperto da sempre al Mondo in virtù della sua identità e della sua cultura.



Fabio Cannizzaro

lunedì 7 luglio 2014

L’UNITA’ DELLA SINISTRA E IL RUOLO DEI SOCIALISTI



La riflessione su cosa è oggi sinistra e su come questa possa anzi debba trovare unità e sintesi, in questo Paese, è centrale.
Hanno ragione i compagni, le compagne che insistono su questo elemento. 
Con altrettanta schiettezza a nessuno di noi sfugge che tanti malintesi e fraintendimenti sembrano, concretamente, impedire questo processo di riorganizzazione e ricomposizione.
Cercare colpe, responsabili è tutto sommato la cosa più facile ed immediata. Ognuno di noi in base alla sua storia politica, al suo essere schierato, alle analisi e perché no alle sue simpatie ed antipatie potrebbe fornire un indiziato, sia esso gruppo, movimento o perché no anche singolo o singola.
La verità è, diciamocelo compagni, che non si comprende la perentoria urgenza che è sottesa a questa necessità di riorganizzazione della sinistra in questo Paese.
Personalmente, del resto non è un segreto, alle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, per motivi che ho largamente e pubblicamente esposto, in pubblico e privato, ho votato ed invitato a votare insieme ai compagni del circolo socialista indipendente nebroideo “Italo Carcione” in cui milito ( che aderisce al Coordinamento dei Circoli Socialisti siciliani) per la LISTA TSIPRAS.
L’ho fatto nella duplice convinzione, che tutt’ora mantengo, prima che i socialisti di questo Paese non potevano e non dovevano ( e quindi aggiungo non devono e non possono) votare e più ancora confondere i propri destini con quelli di un’organizzazione politica espressamente non socialista quale, oltre ed al di là, di ogni risultato elettorale è e resta il Partito democratico e poi che occorre una “sintesi” a sinistra.
Ciò che è accaduto a urne ferme, ciò che sta ancora accadendo, a sinistra del Pd, era qualcosa di tutto sommato previsto e prevedibile.
L’aver appena superato, di un soffio, l’innaturale, a-democratico sbarramento del quattro per cento, ha scatenato il peggio del vecchio tatticismo in seno alla sinistra italiana.
Come socialisti, per averlo a lungo sperimentato e subito, ben conosciamo l’ostracismo “purista” e parolaio  di certi settori della “gauche” rivoluzionaria (quanto piccolo borghese  e pantofolaia  di questo Paese).
Eppure malgrado loro, credevamo che l’esperienza della lista Tsipras andasse tentata e sempre, da socialisti, la consideriamo non solo una affermazione anche nostra (N.d.R. di noi socialisti che l’abbiamo votata) quanto più e meglio una grande “prova strategica” offerta dagli elettori di sinistra, di tutta la sinistra, a queste sue presunte classi dirigenti e intellettuali, sempre più autoreferenziali e politicamente intempestive.
La vittoria, per quanto risicata della Lista Tispras è la vittoria della maturità di una parte dell’elettorato di sinistra di questo Paese. Punto e basta.
I giochi, a bocce ferme, tra organizzazioni politiche, tra gruppi intellettuali esprimono invece il peggio e, con tutta chiarezza, forniscono le ragioni perché, in questo Paese, la sinistra continui ad inanellare sconfitte su sconfitte.
Da socialisti, senza voler essere settari ma dovendo analizzare la realtà, ci tocca constatare che si sono segnalati per attivismo nella distruzione delle possibili ragioni di un’aggregazione che partisse dal risultato delle Europee, alcuni, ben determinati settori della sinistra e segnatamente quelli che si rifanno ad una parte della tradizione comunista, attraverso il nenniano “gioco-invocazione”, alla purezza dell’azione e dell’analisi.
Innanzi a questi dati politici concreti ed evidenti, noi come socialisti abbiamo il diritto ed il dovere di trarre alcune necessarie conclusioni.
Per prima cosa dobbiamo prendere atto che molti ( troppi!) brigano, al di là e oltre le intenzioni espresse, spingendo concretamente per tenere viva la distinzione tra socialisti e comunisti o almeno le ascendenze e dipendenze, dirette ed indirette, da queste due tradizioni e prassi, per come si sono dipanate dal gennaio del lontano 1921.
Leggiamo, ascoltiamo, respiriamo nella concretezza della quotidianità politica, certo senza generalizzare, che esiste, vive ed è nutrito da più parti ancora un vivo pregiudizio verso e contro la tradizione socialista tout court.
E’ un dato politico di cui abbiamo il dovere da socialisti di tenere conto.
Dobbiamo riconoscere, obtorto collo, che i comunisti, i post comunisti, gli ortodossi, veri e presunti, per lo più “vivono” i socialisti con difficoltà quando pensano ad una riorganizzazione della sinistra in questo Paese.
La cosa allo stesso tempo divertente, quanto paradigmaticamente inquietante, è che questi presunti, autonominati settori “ortodossi”, seguaci di varie osservanze “comuniste”, sono e rappresentano, ad analizzarne storia, prospettive e flussi, piccoli gruppi incapaci, in sé, da sé, di sintesi e di proiezione politica.
Ancora più sferzante, se vogliamo provarla, dovrebbe e potrebbe essere l’analisi verso i loro “inorganici “ intellettuali, veri e propri “chierici” del confusionismo ideologico e radical chic.
Tutti costoro rientrano sotto l’ombrello della sintetica, pungente quanto paradigmatica definizione coniata dal compagno Giuseppe Giudice che li apostrofa, senza appello e a giusta ragione, come “funeral-comunisti”.
In questa situazione, stando così le cose. Noi socialisti vediamo prospettarsi tre possibili strade per l’azione socialista.
Ci sono coloro che, additando, a loro dire, la “voce degli occhi” di trotskiana memoria, dicono e sostengono che è impossibile, stando queste condizioni, una qualsivoglia ricomposizione della sinistra.
Costoro finiscono quindi per dichiarare l’inutilità d’ogni sforzo in tal senso.
Da questa posizione fatalistica, certi, fortunatamente pochi, derivano una sorta di appello alla smobilitazione, al disimpegno e certuni talvolta giungono anche a preconizzare per il socialismo un futuro fatto di liaison, strane e balzane, come quella con la lega nord che alcuni propongono come fosse una salvifica “uscita di sicurezza” per il socialismo ed un collocamento alla destra del “centrista” Pd.
E’ evidente che come socialisti non accettiamo né riconosciamo rilievo e valore alcuno a siffatte “derive”. 
Proprio perché constatiamo e prendiamo atto del resistere e persistere, in ambito, diremo latamente comunista, di questi rachitismi e questi rigurgiti antisocialisti, proprio in virtù di tutto ciò abbiamo, da compagni e compagne, il dovere di non ritirarci dall’impegno di contribuire alla riorganizzazione della sinistra in questo Paese.
Che piaccia o no, a comunisti, ex comunisti o affini, oggi occorre dire, a voce alta, che una riorganizzazione credibile e concreta della sinistra in questo Paese può passare, anzi dovrà passare, per un “travaso” e una “sintesi” tra diverse culture politiche, una delle quali è necessariamente, obbligatoriamente quella Socialista.
Qualunque cosa ne pensi certa intellettualità pseudo engagé, è la cultura socialista, la sua capacità di formare e quadri politici, sindacali e nelle organizzazioni sociali che ha salvato, fino ad oggi, la sinistra, il movimento sindacale e l’associazionismo di sinistra dalla scomparsa e dall’inessenzialità.
Serve l’onesta intellettuale e il giusto orgoglio per dire che la responsabilità”” delle strutture organizzative a sinistra è pesato, qualitativamente e numericamente, per lo più, sui socialisti, di tradizione e formazione, e sulla loro capacità di reggere e produrre attività politica.
Chiarito ciò è ovvio, e siamo i primi a riconoscerlo, che occorre andare, adesso,  oltre le vecchie tradizioni ed appartenenze.
Ciò ovviamente non significa obliarle o obnubilarle, semmai il contrario, esaltandone i punti forza senza mai sminuire né mitizzare.
Ed è appunto questa la “prospettiva” che credo, noi socialisti, dovremmo sposare.
Occorre una sintesi feconda tra diverse tradizioni ma per giungere a tale “sintesi” occorre reciproco rispetto e non un mero esercizio di dinamiche di potere.
Se però qualcuno, in qualche cenacolo pensasse o ipotizzasse che la riorganizzazione della sinistra passi o possa passare per un’abiura o una sconfessione della storia politica o delle scelte passate presenti etiche e ideali dei socialisti, allora, resterà deluso dovendosi questa volta assumere, in toto,  il peso del fallimento politico dettato dalla propria inadeguatezza politica.
Esiste poi una terza ipotesi che si prospetta dinnanzi ai socialisti, è l’ipotesi perorata da settori del PS nenciniano, ma non solo da essi, che mira, in concreto, alla diluizione nel calderone del Pd della storia, della tradizione e delle stesse ragioni d’essere e agire del socialismo nel partito di Renzi. Costoro sposano una teoria secondo la quale il Pd, giocherebbe, in questo Paese, a seconda della propria bisogna, ora il ruolo di “moloch” centrista, ora quello di “sinistra” pallidissima e stinta.
 E’ chiaro ed altrettanto immediato che una simile prospettiva è per i socialisti inaccettabile dato che condannerebbe loro e l’intera sinistra, politica e sociale,  all’ annientamento.
Alla luce di questo rapido excursus, credo, almeno dal mio punto di vista, che l’unica via percorribile, per chi è e si sente socialista oggi sia quella di proseguire nella difesa dei valori e dei principi socialisti, offrendosi, senza tentennamenti, per una riorganizzazione della sinistra, che però rispetti i valori, le tradizioni, l’etica e la presenza socialista.
Se così non fosse, i socialisti, non debbono assolutamente scoraggiarsi, dato che la loro battaglia per la sinistra, a sinistra, non si esaurisce, non si è mai esaurita con il fallimento dei processi unificativi, ma prosegue nella convinzione che pur essendo una parte della sinistra, noi ne siamo storicamente una delle componenti attive essenziali, pronta a lottare, sempre e comunque, per i valori del Socialismo che sono, a ben vedere, i valori, della Sinistra, dei Lavoratori e della Gente umile ma operosa.

Fabio Cannizzaro

venerdì 4 luglio 2014

IL SOCIALISMO SICILIANO, OGGI


Nel socialismo siciliano, che è quello in cui viviamo ed operiamo, si assiste, oggi, ad una serie composita di “posizioni” che sbaglieremmo a definire solo di natura tattica che sono proprie e peculiari di diversi gruppi, movimenti, partiti o persone che rappresentano o pensano di rappresentare il socialismo isolano.
Noi come Coordinamento dei Circoli Socialisti offriamo queste nostre riflessioni ai compagni e alle compagne come base per un lavoro politico di analisi e pratico volto a provare a dare soluzione alle diverse “contraddizioni” che si agitano all’interno dell’area socialista siciliana per restituirle, così, un reale spazio e ruolo politico e sociale.
Il primo passo per discutere è riflettere sul socialismo siciliano d’oggi è legato al comprendere quale sia in questa area, variegata per posizioni, l’idea di partecipazione politica e in riferimento ai Territori e alla Sicilia come Entità politica, istituzionale ed economico-culturale specifica e storicamente peculiare.
Emergono anche in questo caso una serie di divisioni di non poco conto. Per chiarire diremo che esistono, nel merito, a voler semplificare, tre posizioni diverse e anche contrapposte.
Vi sono ancora socialisti che considerano l’essere siciliani, il vivere ed operare in Sicilia quasi “un mero accidente di nascita”.
Ogni loro sforzo, ogni loro azione o scelta si rifà, quindi, a scelte, equilibri, analisi di fondo mutuate da un centro politico romano.
L’azione politica siciliana (o locale come direbbero loro) è rapportata quindi o a una visione centrale, centralista o a scelte d’opportunità queste sì localistiche e/o camarillistiche.
Si tratta di un tipo di posizione trasversale che per quanto noi riteniamo profondamente sbagliata ed arretrata va comunque rispettata, sebbene, di fatto, sconfitta dalla storia e dall’esperienza.
Vi è poi la posizione che noi incarniamo e rappresentiamo e che trova la sua rappresentazione in un insieme ben determinato di gruppi e sigle come appunto i nostri circoli, l’Istituto di Cultura Politica per la Questione Siciliana – xQS e che trova una rappresentazione attenta anche nelle attività della Rete Socialista Socialismo Europeo siciliana.
E’ un’analisi che senza essere confusa, sic et simpliciter, con posizioni nazionalistiche, afferma, apertis verbis, l’esistere di un’originale, peculiare, storicamente conclamata, quanto irrisolta, Questione Siciliana che è parimenti Questione Sociale e Questione Identitaria.
Questa posizione che noi incarniamo e rappresentiamo mira dunque in un’ottica schiettamente socialista e democratica, figlia della migliore tradizione del socialismo europeo, a risolvere la Questione Siciliana ponendo al centro dell’azione politica i bisogni e le esigenze del Popolo Siciliano, favorendo una visione federalista dello Stato e ponendo al centro della nostra azione socialista la questione dell’Autogoverno senza egoismi di sorta.
Vi è poi, infine, una terza posizione che definirei meramente regionalistica, autonomistica, che utilizza anch’essa il termine Questione Siciliana, riducendola, però, a poco più di un mero artifizio retorico e calando l’identità socialista come quella siciliana in un calderone senza orientamento di senso compiuto, divisa tra spinte personalistiche, visioni reducistiche, citazioni orazionarie e con la presenza di compagni, espressione della vecchia classe dirigente socialista, che premono riguardo alle scelte di posizionamento.
Questa “declinazione” di socialismo è poco originale ed attendista e più che altro appare come una ripetizione in chiave sicula, delle vecchie prassi centraliste più che una affermazione autocentrata e solidale dei bisogni dei ceti popolari e dei valori socialisti.
A queste divisioni, poi, sia aggiungono tutte le altre che tranciano anch’esse, oggi come ieri, forse più di ieri, il campo della sinistra e del socialismo italiano ed europeo.
E’ chiaro, alla luce di tutto ciò, che la situazione del socialismo in Sicilia non è facile e che questo corre il rischio di essere di fatto “inessenziale” venendo quindi ad essere “isolato” socialmente e politicamente.
E’ evidente che siffatte divisioni non favoriscono, anzi in concreto, finiscono per rendere più difficile un qualsivoglia credibile processo di riaggregazione dell’area socialista isolana.
In questa ottica fanno riflettere appelli all’unità, che suonano più come inviti alla diluizione, pro domo suo, come quando taluni propongono, ex abrupto, salvifici convegni in cui, così e semplicemente, proporre la creazione verticistica, dall’alto, di organismi di sintesi del e per il socialismo siciliano.
Non è questa la giusta strada da percorrere. Chi lo fa assume su di sé la responsabilità politica di dividere, scienti  o no,  ancor di più il già abbastanza litigioso socialismo isolano.
Ciò che occorre, attualmente, è invece un’iniziativa dialettica rispettosa di tutte le differenze, esistenti e conclamate, che porti i socialisti siciliani, tutti quelli che ci stanno, senza fretta ma tenendo ben diritta la rotta a rifiutare tatticismi ed egemonismi, reali e/o risibili, per discutere da socialisti del futuro dei Siciliani e non solo o tanto delle loro organizzazioni politiche e delle leadership, vere o presunte, di questo o quello.
Patti federativi richiedono condivisioni profonde, non è il caso oggi, di ripetere vecchi errori, vecchie sopravvalutazioni.
 Il Socialismo Siciliano ha delle sue peculiarità che non solo organizzative (nasce politicamente dall’esperienza dei Fasci Siciliani dei Lavoratori) ma anche di elaborazione, tradizione e analisi.
Chi non comprende questo, chi finge di poter riassumere tutto questo in un mero orgoglio, di parte o partito. fine a se stesso, non comprende la grandezza stessa del Socialismo Siciliano e minaccia di immiserirlo trasformando se stesso e i suoi associati in “pallidi eroi metastasiani” d’un socialismo “politicato”, spesso e volentieri, virtuale e parolaio, di cui, oggi, i Siciliani non hanno davvero bisogno.


Fabio Cannizzaro