La globalizzazione come occasione di prosperità collettiva, leitmotiv
dei progressismi del Vecchio e Nuovo Continente per più di un quarto di secolo mostra
oggi miseramente tutti i suoi limiti politici, economici e teorici.
Il fallimento stava già, a ben vedere, nelle premesse ovvero
nel tentativo di armonizzare ciò che era e resta antitetico ovvero gli
interessi del Capitalismo internazionale finanziarizzato e quelli del
socialismo e delle masse popolari e dei lavoratori che questo mira a
rappresentare.
L’illusione che potesse esistere una “terza via” tra questi
due modi di rappresentare gli interessi di due classi così diverse, i cui
interessi sono e restano, in concreto, inconciliabili si è infranta, quando le “destre”
socialiste democratiche, di cui Tony Blair e Gerhard Schröeder furono per un certo periodo simboli e sintesi, hanno
mostrato tutta la loro inconsistenza politica regalando di fatto l’agenda e
l’iniziativa politica ai liberisti e alle destre di tutta Europa.
È stata per il socialismo una stagione
buia. Frutto di questo periodo è stato ed è ancor oggi il PES, il cosiddetto
partito del socialismo europeo, che ancora insiste a descrivere come
“socialista” una linea di continuità e contiguità al neoliberismo che davvero
minaccia di ridurre il socialismo a una ancella del liberismo.
Fortunatamente le sinistre socialiste democratiche da tempo,
nei diversi Paesi, lavorano a recuperare spazi e prospettive al loro socialismo
in contrapposizione a certo spurio socialismo liberista.
Certo la situazione non è eguale ed omogenea ovunque.
In alcuni Paesi come la Germania, la Francia, il Regno Unito
ed il Portogallo (perché il ragionamento esula e supera la mera U.E), in modi e
forme diverse, la presenza di reali forze politiche socialiste con la loro
dialettiche interne e le loro forze organizzative ha permesso l’emergere di
figure, nel divenire, di figure di riferimento come Emmanuel Maurel, Jeremy
Corbyn o António Luís Santos da Costa.
In Italia la situazione è oggettivamente più complicata e
difficile.
La fine del vecchio, vero PSI, nel 1994, ha creato un vuoto
politico pneumatico a cui nessuno è riuscito a dare una risposta.
Forse l’organizzazione che più dal punto di vista
organizzativo ma non politico si è avvicinata a rappresentare un reale
tentativo di definire una presenza socialista è stato, ad oggi, lo SDI
anch’esso però naufragato nelle perigliose acque della palude del post
socialismo.
Non parliamo poi dell’attuale PSI uno degli ultimi presidi di
socialismo liberista in Europa né tantomeno di altri piccoli tentativi, ad oggi,
messi in campo tutti inficiati da poca democrazia e molto, troppo
personalizzati.
E si perché il vero problema del socialismo in Italia è la
pletora di ex colonnelli, maggiori, capitani e più spesso sergenti del vecchio
PSI convinti di poter tornare a replicare, solo con qualche piccolo
aggiustamento formale, quel modello di relazioni politiche e di organizzazione.
Ciò vale indistintamente per “destra”, “sinistra” e “centro”
di ciò che resta di una diaspora socialista che si barcamena da 28 anni e che
si assottiglia di anno in anno.
Ciò che molti di questi validi compagni e compagne non
vogliono intendere è la constatazione, in sé né originale né difficile, che un
ciclo politico una volta conclusosi non può tornare ripetersi se non come
farsa.
Servirebbe che il socialismo, i socialisti prendessero
coscienza di ciò e lavorassero a costruire una nuova forma di presenza e
rappresentanza.
La forma del partito ottonovecentesco come eravamo abituati a
conoscere è, oggi, di fatto improponibile e soprattutto non funzionale ai
bisogni politici e sociali dei socialisti militanti e di chi questi dovrebbero
rappresentare cioè le masse popolari e lavoratrici.
Il modello derivato dal vecchio PSI le sue logiche se non
definibili antidemocratiche sono però certamente a-democratiche e centralizzate
e non rappresentano più utilmente l’aggregazione politica democratica in una
società moderna.
Serve, dunque, andare oltre.
Taluni non comprendono
questa necessità e si ostinano a ripetere pedissequamente le vecchie “formule”
organizzative, dando vita serialmente, per scissione, a sempre nuove/vecchie micro
organizzazioni socialiste, i cui difetti evidenti talvolta per giunta orgogliosamente
perseguiti finiscono inevitabilmente per ridurre questi movimenti-partiti, apertis verbis, in poco più che sette autoreferenziali con una
spiccata propensione alla personalizzazione acritica delle loro “leadership” composte immancabilmente da piccoli
gruppi di cooptati.
Servirebbe invece, attualmente, un lavoro culturale e quindi
politico di prospettiva.
Si dovrebbe, più e meglio, lavorare a creare interesse e
presenza intorno al socialismo specie tra coloro che, finora, non si sono mai
avvicinati ad esso. Serve coinvolgere persone nuove, nuove generazioni e formarle
al pensiero critico, all’analisi sociale e alla lotta politica e sindacale.
Toccherà poi a tutti insieme creare forme organizzative,
democratiche, federali e territoriali all’altezza dei tempi.
È la prospettiva a cui lavoriamo noi
di xQS che rifuggiamo le facili “scorciatoie” sia neo sovraniste e centraliste
sia le solite visioni neo unificatrici intese come mere sommatorie imposte di
sigle e gruppi.
Serve, casomai, invece un duro lavoro di formazione ed
organizzazione che sappiano fare tesoro degli errori passati guardando però al
presente e al futuro dei bisogni negati ed inespressi della parte debole della
società.
Questo è socialismo, solo questo restituirà al socialismo la sua
funzione politica e sociale di rappresentanza delle forze popolari e del lavoro
nel Paese.
Avanti, sempre!
Fabio Cannizzaro