venerdì 24 aprile 2020

VECCHI INDUGI E COMPITI NUOVI PER UN SOCIALISMO ALL’ALTEZZA DEI TEMPI…




La globalizzazione come occasione di prosperità collettiva, leitmotiv dei progressismi del Vecchio e Nuovo Continente per più di un quarto di secolo mostra oggi miseramente tutti i suoi limiti politici, economici e teorici.
Il fallimento stava già, a ben vedere, nelle premesse ovvero nel tentativo di armonizzare ciò che era e resta antitetico ovvero gli interessi del Capitalismo internazionale finanziarizzato e quelli del socialismo e delle masse popolari e dei lavoratori che questo mira a rappresentare.
L’illusione che potesse esistere una “terza via” tra questi due modi di rappresentare gli interessi di due classi così diverse, i cui interessi sono e restano, in concreto, inconciliabili si è infranta, quando le “destre” socialiste democratiche, di cui Tony Blair e Gerhard Schröeder furono per un certo periodo simboli e sintesi, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza politica regalando di fatto l’agenda e l’iniziativa politica ai liberisti e alle destre di tutta Europa.
È stata per il socialismo una stagione buia. Frutto di questo periodo è stato ed è ancor oggi il PES, il cosiddetto partito del socialismo europeo, che ancora insiste a descrivere come “socialista” una linea di continuità e contiguità al neoliberismo che davvero minaccia di ridurre il socialismo a una ancella del liberismo.
Fortunatamente le sinistre socialiste democratiche da tempo, nei diversi Paesi, lavorano a recuperare spazi e prospettive al loro socialismo in contrapposizione a certo spurio socialismo liberista.
Certo la situazione non è eguale ed omogenea ovunque.
In alcuni Paesi come la Germania, la Francia, il Regno Unito ed il Portogallo (perché il ragionamento esula e supera la mera U.E), in modi e forme diverse, la presenza di reali forze politiche socialiste con la loro dialettiche interne e le loro forze organizzative ha permesso l’emergere di figure, nel divenire, di figure di riferimento come Emmanuel Maurel, Jeremy Corbyn o António Luís Santos da Costa.
In Italia la situazione è oggettivamente più complicata e difficile.
La fine del vecchio, vero PSI, nel 1994, ha creato un vuoto politico pneumatico a cui nessuno è riuscito a dare una risposta.
Forse l’organizzazione che più dal punto di vista organizzativo ma non politico si è avvicinata a rappresentare un reale tentativo di definire una presenza socialista è stato, ad oggi, lo SDI anch’esso però naufragato nelle perigliose acque della palude del post socialismo.
Non parliamo poi dell’attuale PSI uno degli ultimi presidi di socialismo liberista in Europa né tantomeno di altri piccoli tentativi, ad oggi, messi in campo tutti inficiati da poca democrazia e molto, troppo personalizzati.
E si perché il vero problema del socialismo in Italia è la pletora di ex colonnelli, maggiori, capitani e più spesso sergenti del vecchio PSI convinti di poter tornare a replicare, solo con qualche piccolo aggiustamento formale, quel modello di relazioni politiche e di organizzazione.
Ciò vale indistintamente per “destra”, “sinistra” e “centro” di ciò che resta di una diaspora socialista che si barcamena da 28 anni e che si assottiglia di anno in anno.
Ciò che molti di questi validi compagni e compagne non vogliono intendere è la constatazione, in sé né originale né difficile, che un ciclo politico una volta conclusosi non può tornare ripetersi se non come farsa.
Servirebbe che il socialismo, i socialisti prendessero coscienza di ciò e lavorassero a costruire una nuova forma di presenza e rappresentanza.
La forma del partito ottonovecentesco come eravamo abituati a conoscere è, oggi, di fatto improponibile e soprattutto non funzionale ai bisogni politici e sociali dei socialisti militanti e di chi questi dovrebbero rappresentare cioè le masse popolari e lavoratrici.
Il modello derivato dal vecchio PSI le sue logiche se non definibili antidemocratiche sono però certamente a-democratiche e centralizzate e non rappresentano più utilmente l’aggregazione politica democratica in una società moderna.
Serve, dunque, andare oltre.
 Taluni non comprendono questa necessità e si ostinano a ripetere pedissequamente le vecchie “formule” organizzative, dando vita serialmente, per scissione, a sempre nuove/vecchie micro organizzazioni socialiste, i cui difetti evidenti talvolta per giunta orgogliosamente perseguiti finiscono inevitabilmente per ridurre  questi movimenti-partiti, apertis verbis, in poco più che sette autoreferenziali con una spiccata propensione alla personalizzazione acritica delle loro  “leadership” composte immancabilmente da piccoli gruppi di cooptati.
Servirebbe invece, attualmente, un lavoro culturale e quindi politico di prospettiva.
Si dovrebbe, più e meglio, lavorare a creare interesse e presenza intorno al socialismo specie tra coloro che, finora, non si sono mai avvicinati ad esso. Serve coinvolgere persone nuove, nuove generazioni e formarle al pensiero critico, all’analisi sociale e alla lotta politica e sindacale.
Toccherà poi a tutti insieme creare forme organizzative, democratiche, federali e territoriali all’altezza dei tempi.
È la prospettiva a cui lavoriamo noi di xQS che rifuggiamo le facili “scorciatoie” sia neo sovraniste e centraliste sia le solite visioni neo unificatrici intese come mere sommatorie imposte di sigle e gruppi.
Serve, casomai, invece un duro lavoro di formazione ed organizzazione che sappiano fare tesoro degli errori passati guardando però al presente e al futuro dei bisogni negati ed inespressi della parte debole della società.
Questo è socialismo, solo questo restituirà al socialismo la sua funzione politica e sociale di rappresentanza delle forze popolari e del lavoro nel Paese.

Avanti, sempre!

Fabio Cannizzaro

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