La recente presentazione del 4° Rapporto Agromafie e
Caporalato dell’osservatorio “Placido Rizzotto” della FLAI CGIL ci offre modo e
occasione di riflettere sulla nostra attualità, sulla realtà che ci circonda.
Chiunque viva ed operi in Sicilia e mantenga uno sguardo
aperto e attento non può non convenire sul fatto che le entrate derivanti dalle
cosiddette “agromafie”, oggi,
rappresentano per i sodalizi criminali di questo Paese una parte sempre più
cospicua delle proprie entrate.
Prendere coscienza di ciò è già un passo avanti e tuttavia
non può e non deve bastare. Troviamo, ad esempio, positivo che i sindacati
agroalimentari confederali, FLAI CGIL in testa, stiano organizzando
mobilitazioni in tutta la Penisola ed una due giorni dal 24 al 26 luglio con un
presidio davanti alla Camera dei Deputati in occasione della discussione
parlamentare sul cosiddetto “Decreto
Dignità”.
Tutto ciò contribuisce ad alzare il velo su uno dei settori
più redditizi per le mafie italiane ed internazionali, quello, appunto, legato
sia allo sfruttamento della manodopera sia al controllo sulla filiera del cibo
fino poi a giungere alla ristorazione, alla gestione dei contributi europei per
allevamento e l'agricoltura.
È questo il grande “business” che le mafie, in Sicilia,
nello specifico, Cosa Nostra, si trovano a gestire.
Si tratta di una movimentazione di denaro e risorse enorme quantificato, solo in difetto, in “appena” 4, 8 miliardi di euro .
Si tratta di una movimentazione di denaro e risorse enorme quantificato, solo in difetto, in “appena” 4, 8 miliardi di euro .
Comprendere la centralità di questa “nuova sponda” per le organizzazioni malavitose significa dover e
poter ricalibrare le forme di contrasto che lo Stato, la società civile devono
assumere come risposta rispetto a questi fenomeni.
Fortunatamente, come spesso accade, la società, le realtà
territoriali, comprendono questi fenomeni prima e meglio del cosiddetto centro.
Non a caso, ad
esempio, siffatte riflessioni, da tempo, sono sviluppate nei nostri diversi Sud.
Penso all’apporto di certo coraggioso giornalismo investigativo, dall’alta significanza etica, che, ad esempio, sui Nebrodi, descrive, chiaramente ed analiticamente, i fenomeni con dovizia di informazioni e mantenendo uno sguardo d’insieme encomiabile.
Penso all’apporto di certo coraggioso giornalismo investigativo, dall’alta significanza etica, che, ad esempio, sui Nebrodi, descrive, chiaramente ed analiticamente, i fenomeni con dovizia di informazioni e mantenendo uno sguardo d’insieme encomiabile.
Il sindacato, poste queste necessarie premesse, ha il dovere
di essere in prima linea nel contrasto del fenomeno delle agromafie.
Il fiume di denaro che il controllo di grandi
quote delle contribuzioni europee frutta alla malavita, e ai colletti bianchi,
che la affiancano e sostengono, è enorme e diviene, anno dopo anno, sempre più
essenziale e centrale, nel bilancio delle mafie.
Tema questo che chiama in causa, indirettamente e senza però
generalizzazioni, un certo ruolo parassitario e parassitante di determinate
nostre burocrazie e di una certa borghesia, ambedue, attualmente, fortemente
intrise di certo neoliberismo predatorio.
Questo “mercato”
agroalimentare è, poi oggi, fondamentale per la stessa sopravvivenza delle organizzazioni mafiose.
Recenti provvedimenti come quelli adottati dall’oramai ex
presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, che, nel 2014, ha introdotto
nel territorio nebroideo un protocollo di legalità per l'assegnazione degli affitti dei terreni,
che prevede la presentazione del certificato antimafia anche per quelli sotto
la soglia dei 150 000 euro, sono utilissimi provvedimenti di contrasto
operoso a logiche criminali volte ad accaparrarsi risorse pubbliche
comunitarie, drogando, di fatto, mercati e logiche produttive, attraverso
violenze paventate e/o realizzate.
Tuttavia ciò non basta e di fronte alla continua “rimodulazione” delle strategie mafiose,
realizzate da professionisti vicini alle cosche, serve che lo Stato, la società
e non ultimo il sindacato possano e sappiano elaborare strategie di contrasto
tanto utili quanto concrete.
Cosa può e deve fare il sindacato? Cosa può fare nello
specifico la CGIL come confederazione?
Possiamo dire che diversamente da altri soggetti sociali, la
CGIL è avanti e tuttavia ancora tante è la strada da percorrere.
Nello specifico si devono mettere in condizione tutti i
soggetti produttivi, sociali, istituzionali e pubblici di essere difesi,
supportati e tutelati a partire dalle singole realtà territoriali. Garantendo
uno sviluppo il più equo e condiviso possibile.
Sarebbe impensabile e colpevole pensare di scaricare, così e
semplicemente, su sindaci, amministratori, sindacalisti il peso, diretto ed
immediato, del contrasto del fenomeno agromafioso confidando solo sul loro
coraggio personale e civile.
Già in passato siffatte “scelte”,
che di fatto abbandonavano a se stessi i soggetti territoriali, provocarono, in concreto, un illecito
vantaggio per le organizzazioni mafiose, occorre non ripetere errori antichi.
Penso, ad esempio, a meccanismi di controllo diretto ed
incrocio automatico, stabiliti per legge, tra uffici ed autorità onde rendere
operativi, contemporaneamente e a tutti i livelli, i protocolli di legalità.
La sfida del contrasto alle agromafie deve vedere insieme
coordinate sindacalmente categorie diverse penso all’Agroalimentare non meno
che la Conoscenza insieme parimenti a Commercio, Servizi, Trasporti, Sicurezza.
Solo un punto di vista coordinato, confederale può, quindi, permettere alla CGIL, al sindacato di
contribuire al contrasto di questi fenomeni garantendo altresì a pieno i
diritti dei lavoratori e delle masse popolari.
Si tratta, in buona sostanza, di tornare a recuperare quella
centralità sociale che a lungo ha connotato e caratterizzato la nostra
confederazione.
Da sostenitori del documento congressuale n. 2, da socialisti
di sinistra, non dimentichiamo il precedente storico dell’unità nella lotta tra
e nelle categorie sviluppato dal socialismo negli anni ’50 del secolo scorso.
Si trattò allora di raccordare e coordinare in un’ottica di
classe lotte contadine e mobilitazioni operaie.
Abbiamo, ovviamente, ben chiaro che i tempi sono, oggi,
totalmente diversi e tuttavia quello esempio di coesione resta un riferimento
ed uno stimolo per una CGIL che sappia sfidarsi recuperando un suo autonomo
ruolo politico, cosa ben diversa da certi recenti collateralismi.
Tocca a noi iscritti e militanti della CGIL ricreare, a
partire dal contrasto alle agromafie, un “fronte
sociale dei diritti” che rifiutando facili consociazioni e un certo
remissivismo rimetta al centro dell’agenda etica, sociale e politica i
lavoratori e il loro sindacato, forti di un senso di classe e di una visione attiva
della legalità.
In questa prospettiva il Sud, i nostri diversi Sud possono e
debbono svolgere un ruolo non solo centrale ma insostituibile come già è stato
per il contrasto alla mafia stragista.
Fabio Cannizzaro
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