La lettura stamani sull’edizione di Palermo de “ la Repubblica” dell’intervista ad
Emanuele Macaluso, firmata da Giuseppe Alberto Falci, ci offre da siciliani e
socialisti, l’occasione per qualche riflessione.
Dopo una parte dedicata alla lunga, prestigiosa carriera
sindacale e politica di Macaluso credo che il punto più interessante
dell’intervista sia quando Falci pungola Macaluso affinché dica la sua
sull’attuale “scenario”politico.
Il novantunenne Macaluso non le manda a dire e parte dicendo
che l’attuale Esecutivo ignora la questione meridionale. Vero, verissimo come
del resto indifendibile è nel merito e nella sostanza la “ratio” che muove
questo Governo e la sua maggioranza politico-parlamentare che conta, ahinoi, numerosi
meridionali e siciliani.
Macaluso, poi, con
mestiere, passa subito, alla realtà siciliana e si “confronta” con la Regione e
con il suo Governo, guidato da quel Rosario Crocetta, che almeno sulla carta,
sarebbe espressione del progressismo democratico e/o democraticista.
L’analisi macalusiana è inappuntabile e condanna, senza se e
senza ma, Crocetta, la sua esperienza di governo e la “formula” politica che questo aveva posto alla base della sua “discesa in campo”.
Macaluso, infatti, rispondendo all’intervistatore sottolinea
che Crocetta e i “crocettiani” si sono mostrati
inadeguati nel dare visibilità alla questione siciliana, cioè, detto
anche in altri termini, nel dare
centralità alla battaglia per la Sicilia.
Falci a questo punto lo incalza e gli chiede, apertamente, un
giudizio sul PD, che è stato ed è, non dimentichiamolo, lo “sponsor” e “l’animatore” politico del fenomeno oramai possiamo dire
“localistico” del “crocettismo”.
La risposta di Macaluso è stentorea ed il canuto leader
definisce testualmente il partito democratico “ un aggregato politico elettorale”. Incalzato ancora aggiunge che il
PD “è interessato”, come il resto di
certa classe politica, da una vocazione e da una prassi trasformista.
L’analisi del compagno Macaluso è nella sua chiarezza compiuta,
senza sbavature.
Ho trovato se possibile ancor più importante, poi, il fatto
che Macaluso ha posto la questione della lotta alla mafia come problema
politico e sociale.
Andando oltre il detto, direi, senza penso stravolgere troppo
il suo pensiero, che Macaluso distingue tra certa antimafia , che
l’intervistatore definisce “farlocca”
e un’esigenza di lotta alla mafia genuina e presente.
Macaluso, in questo confronto, trova l’elezione a Presidente
della Repubblica del siciliano Sergio Mattarella, un elemento positivo, testimonianza di una
Sicilia diversa che non si rassegna e non si piega al vile ricatto mafioso.
Dopo aver letto l’intervista titolata in modo azzeccato: “ Che delusione la mia Sicilia senza leader né
antimafia” mi sono interrogato e come cittadino siciliano e come socialista
isolano su quale potesse essere, in termini etici e politici, il portato di
questa, interessante e nella sua chiarezza inusuale, intervista sia per la
sinistra che per l’intera società siciliana.
Il fatto anagrafico di un Emanuele Macaluso novantunenne ci
indica che l’uomo, nella sua proverbiale, invidiabile lucidità di analisi
coglie, scevro da preoccupazioni o interessi tattici, l’essenza di quanto
accade, in termini politici, oggi in Sicilia. L’esistere, il resistere e il persistere
di due modi contrapposti, antitetici di concepire la politica in Sicilia.
Un modo è quello rappresentato dalla prassi predominante che
in nome degli interessi di una certa classe politica e dei suoi “clientes” sacrifica, aspirazioni,
bisogni, esigenze della stragrande maggioranza dei siciliani mortificando,
spesso consapevolmente spesso inconsapevolmente, le necessità e le priorità
etiche e politiche della maggioranza dei nostri conterranei, come nel caso,
appunto, della lotta alla mafia, al malaffare o ancora immiserendo e negando l’idea
della Sicilia come Terra libera da ipoteche coloniali e colonizzanti.
Vi è poi un secondo, altro, diverso modo di pensare e speriamo
anche di amministrare politicamente la Sicilia.
Un modo che riassumerò per semplicità con una definizione non
sua ma che prendo a prestito dal compianto Massimo Ganci, per cui la Sicilia deve
affrontare e risolvere la questione siciliana che è parte della questione meridionale
ma non si risolve necessariamente in questa.
Questione quella siciliana che può trovare finalmente
soluzione solo se cambierà , copernicanamente, il modo di gestire la “cosa pubblica”. Questo “nuovo modello” di relazioni
etico-politiche e socio-economiche richiede però il superamento di vecchie “prassi” proprie della “politica politicata”.
E’ chiaro che questa è una sfida per tutta la classe politica
e dirigente della nostra amata Sicilia, che, in ogni caso, deve, a mio avviso,
anzitutto interessare la sinistra isolana.
Una sfida concreta e non solo teorica, che appunto in virtù
della sua effettività chiama in causa noi uomini e donne di sinistra. Dobbiamo,
in tal prospettiva, avere dunque il coraggio di dire che le contraddizioni che
indica il compagno Macaluso sono frutto non solo di contingenze politiche
situazioniste ma del fallimento, insottacibile e conclamato, di un modello di
relazioni praticate da un intera classe dirigente e politica.
Classe che in buona parte possiamo definire progressista e di
provenienza di sinistra, eredi, diretti ed indiretti, di quelle esperienze
organizzate che si riconoscevano e che militavano nei partiti e nelle
organizzazioni politiche e sociali della sinistra storica siciliana e no, oggi
estintesi e da cui poi hanno preso il largo per le loro lecite quanto personali
scelte.
Detto ciò è evidente che occorre un cambiamento epocale delle
e nelle relazioni politiche se vogliamo sottrarre spazio politico e
rappresentanza a fenomeni come il “crocettismo”.
Una necessità, che è
il frutto conseguente di un lungo processo di “oggettivo incancrenimento” della rappresentanza politica, troppo a
lungo e male, mediata e filtrata da apparati politico-burocratici sempre uguali
a se stessi egoisti ed immarcescibili.
Noi socialisti siciliani stiamo provando, partendo da noi,
dalla nostra area politica e dalla nostra concreta esperienza a colmare questo
“GAP”; proviamo a farlo cercando di
riorganizzare la nostra presenza a partire dai bisogni e dalle esigenze prioritarie
della gente, di quella parte onesta e lavoratrice, che è la maggioranza dei
siciliani. Non ci nascondiamo dietro un dito: anche noi troviamo resistenze ed incontriamo
incomprensioni.
Poniamo, tuttavia, come centrali, in questa prospettiva di
concretezza i temi della rappresentanza politica.
Un dato questo che un socialismo, una sinistra credibile deve aggredire.
In democrazia questo è lo snodo centrale della rappresentanza
istituzionale, che in Sicilia significa, praticamente, affrontare il tema della rappresentanza autonomista, la
cui centralità è innegabile tanto da essere stata costituzionalizzata.
In concreto si tratta per noi socialisti e di sinistra della
ripresa, senza rachitismi, pregiudizi e/o callosità, della “linea”
d’indirizzo che fu propria della migliore, più lungimirante tradizione
socialista, che vedeva, come ebbe a dire l’indimenticato Rodolfo Morandi, nel giugno
del 1954, nella costruzione statutaria “ un atto di portata storica nazionale, una svolta decisiva che si è
operata nei sistemi e nelle
consuetudini di uno Stato accentratore e soffocatore delle libertà locali che
sono il fondamento ed il presupposto delle libertà individuali”.
La difesa non paurosa, dunque, delle prerogative statutarie
per non essere intesa e divenire, di fatto, mera difesa dell’esistente occorre ponga
la questione perentoria della selezione di una nuova classe dirigente politica
e di sinistra, che deve assumersi l’onere ed il ruolo non solo di “difesa” e di “gestione” dello strumento statutario ma della sua “piena e totale attuazione” secondo
direttive generali e lontane da interessi limitati e prassi di casta.
Ciò significa intervenire sia
sulle prassi che sui meccanismi di governo, sulle abitudini inveterate,
sulle basse linee di galleggiamento morale.
In poche parole significa scontentare elitè e camarille, da
molto, troppo tempo, senza limiti etici
e direzione e controllo politico.
Se la sinistra vuole tornare a fare la differenza, se i
socialisti vogliono essere parte di questo processo di ri-organizzazione
virtuoso devono scontentare molti e scardinare equilibri dati.
Può e deve fare riflettere il fatto che una delle poche
analisi lucide sull’oggi, seppure non esaustiva, venga da un compagno
ultranovantenne.
Tutto ciò pur andando a merito dell’intelligenza umana e
politica di Emanuele Macaluso testimonia della necessità e dell’urgenza
politica di dare il via ad una nuova stagione in cui, le vecchie prassi, i
vecchi paludati riti cencelliani e consociativi siano definitivamente
archiviati e sconfitti.
Serve alla Sinistra isolana, serve alla Società siciliana!
Fabio Cannizzaro
Coordinatore della Federazione
per il Socialismo della Sicilia
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